LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE 
                            di Campobasso 
 
    Riunita con l'intervento dei signori: 
        Liberatore avv. Antonio, Presidente; 
        Scarano Stefano, relatore; 
        Spezzano Enzo, guidice; 
ha emesso la seguente ordinanza sull'appello n. 454/10 depositato  il
4  novembre  2010  avverso  la  sentenza  n.  155/1/10  emessa  dalla
Commissione tributaria provinciale di Campobasso; 
    Contro Agenzia entrate - Ufficio Campobasso; 
proposto dai ricorrenti: 
    Di Laura Frattura Paolo, difensore dott. Giulio  Berchicchi,  via
Cavour, 35 - 86100 Campobasso CB; 
difeso da: 
    Berchicci Giulio, via San Giovanni, 15 C - 86100 Campobasso CB; 
    De Socio Nicolino, via Cavour, 35 - 86100 Campobasso; 
atti impugnati: ruolo e cartella di pagamento registro 2006. 
 
                                Fatto 
 
    Con rituale e tempestivo ricorso datato 13  luglio  2009  l'arch.
Paolo Di Laura Frattura impugnava innanzi alla Commissione tributaria
provinciale di Campobasso l'avviso di liquidazione ed irrogazione  di
sanzioni n. D000006/2009, notificato  il  13  maggio  2009,  relativo
all'anno di imposta 2006 con il quale veniva disposta la liquidazione
di maggiore imposta di registro ed interessi di mora e sanzioni nella
misura complessiva di € 316.337,55. 
    La ripresa a tassazione aveva ad oggetto il recupero dell'imposta
complementare ex art. 42, primo comma,  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 131/1986 per l'omesso versamento dell'imposta  di
registro nella  misura  di  €  229.477,00  (pari  al  3%  del  valore
dell'atto di donazione al netto della franchigia di € 180.759,91)  in
riferimento ad un atto di donazione intervenuto  in  data  22  giugno
2006 e registrato il 28 giugno 2006 al n. 232 della serie IV  tra  il
ricorrente, in qualita' di donatario, e la sig.ra Verrone  Elena,  in
qualita' di donante, nel quale, a giudizio dell'Ufficio, il  rapporto
tra donante e donatario era  stato  qualificato  come  di  parentela,
risultando viceversa un rapporto di sola affinita'. 
    Tra  i  due  soggetti  della  donazione,  infatti,   intercorreva
rapporto di affinita' del III grado. 
    L'atto di  donazione  era  intervenuto  nel  periodo  di  vigenza
dell'art. 13 della legge n. 383/2001 che, al comma 1,  aveva  abolito
(fino al 3 ottobre 2006, quando e' stata  reintrodotta  dall'art.  2,
commi da 47 a 53, del  decreto-legge  n.  262  del  3  ottobre  2006,
convertito dalla legge n. 286 del 24 novembre 2006)  l'imposta  sulle
successioni e sulle donazioni; ed  al  comma  2  aveva  esentato  dal
pagamento delle  imposte  i  trasferimenti  di  beni  e  diritti  per
donazione o altre liberalita' tra vivi se intervenuti in  favore  del
coniuge, dei parenti in linea retta e degli altri  parenti  entro  il
quarto grado, a condizione che la quota spettante  non  superasse  il
valore di 350.000.000 di lire. 
    Dunque, l'esenzione dal pagamento dell'imposta era esclusa per  i
trasferimenti tra affini ed allorquando il valore  del  trasferimento
superasse l'importo di £ 350.000.000. 
    Nel ricorso veniva dedotta la illegittimita' dell'atto  impugnato
sul presupposto che il regime delle donazioni previsto dall'art.  13,
comma 2, della legge n. 383/2001, in vigore per gli atti tra parenti,
dovesse essere esteso anche per gli atti di donazione tra gli  affini
appartenenti alle stesse categorie, e dunque  agli  affini  in  linea
retta ed agli affini in linea  collaterale  entro  il  quarto  grado,
essendo le due categorie di soggetti (parenti ed affini) trattate  in
maniera analoga dal legislatore in molti altri settori. 
    Dunque, secondo il ricorrente, l'elencazione contenuta nel  comma
2 dell'art. 13 non sarebbe stata tassativa. 
    Quale criterio interpretativo, si richiamavano anche le modifiche
che l'art. 69 della legge  n.  342/2000  aveva  apportato  al  regime
dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni di  cui  al  decrteo
legislativo  n.  346/1990  (la  cui  regolamentazione  e'  stata  poi
reintrodotta a far data dal 3  ottobre  2006,  giusta  la  previsione
dell'art. 2, commi da 47 a 53, del decreto-legge n. 262/2006). 
    Veniva chiesta, in via subordinata, la sospensione  del  giudizio
con conseguente remissione degli atti alla Corte  costituzionale  per
la ritenuta illegittimita' dell'art. 13, comma 2, della legge n.  383
del  2001  per  violazione  degli  articoli  2,  3,  29  e  31  della
Costituzione. 
    Nel   costituirsi   in   giudizio   l'Ufficio    contestava    le
prospettazioni  della  parte  ricorrente,  proponendo   una   lettura
testuale e non sistematica dell'art. 13 della legge n. 383/2001. 
    Con  sentenza  n.  155/1/10  del  1  marzo  2010,  depositata  in
segreteria l'11 maggio 2010, la Commissione tributaria provinciale di
Campobasso respingeva il ricorso e compensava le spese. 
    Avverso la detta sentenza proponeva impugnativa  il  contribuente
riproponendo sostanzialmente  le  argomentazioni  di  primo  grado  e
chiedendo, anche in questo grado di giudizio, che  venisse  sollevata
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  della   disposizione
normativa di cui all'art. 13, comma 2, della legge n. 383/200 l. 
    Si costituiva in giudizio in appello l'Ufficio eccependo, in  via
preliminare, l'ammissibilita' dell'appello in quanto il  contribuente
si sarebbe limitato a riproporre i motivi del ricorso di primo  grado
anziche'  proporre   specifici   motivi   di   censura   avverso   le
argomentazioni contenute nella sentenza gravata; riproponeva  per  il
resto le argomentazioni gia' esposte in primo grado. 
    Con atto datato 25 ottobre 2013 l'appellante proponeva istanza di
sospensione degli effetti della sentenza impugnata, deducendo, quanto
al fumus boni juris,  le  argomentazioni  dell'atto  di  impugnazione
principale e, quanto  al  danno,  gli  effetti  devastanti  derivanti
dall'esecuzione della sentenza. 
    Con ordinanza n. 99/4/13, resa alla Camera di  Consiglio  del  25
novembre 2013, veniva accordata la chiesta misura cautelare. 
    In vista della pubblica udienza di  discussione  del  ricorso  la
difesa della parte appellante ha depositato in giudizio  una  memoria
illustrativa nella quale svolgeva ampiamente le proprie doglianze che
deponevano per l'illegittimo diverso trattamento tra le due categorie
dei parenti e degli  affini  fino  a  determinare  la  illegittimita'
costituzionale della disposizione normativa censurata. 
 
                               Diritto 
 
    Il Collegio ritiene  che,  in  via  preliminare,  sia  necessario
esaminare la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  13,
comma 2, della  legge  n.  383/2001  prospettata  dall'appellante  in
quanto la corretta valutazione della portata  applicativa  di  quella
disposizione normativa e' tale da  incidere  in  maniera  determinate
sulla risoluzione della presente fattispecie. 
    A tal proposito il Collegio ritiene che  debba  essere  sollevata
innanzi alla  Corte  costituzionale,  ai  sensi  e  per  gli  effetti
dell'art. 23 della legge n.  87  dell'11  marzo  1953,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 2, della legge n. 383
del 18 ottobre 2001, per la violazione degli articoli 2, 3, 29  e  31
della Costituzione in quanto la  stessa  e'  rilevante  nel  presente
giudizio ed appare non manifestamente infondata. 
    In estrema sintesi, l'appellante  rappresenta  la  illegittimita'
costituzionale della disposizione normativa richiamata nella parte in
cui, nella sua portata testuale e  letterale,  esclude  la  categoria
degli affini dall'ambito dei soggetti destinati a  beneficiare  della
«franchigia» sulla imposta  di  donazione,  dal  cui  pagamento  sono
esentati il coniuge, i parenti in linea retta  e  gli  altri  parenti
fino al quarto grado, nell'ipotesi di trasferimento di beni e diritti
per donazione o per altra liberalita' tra vivi,  allorche'  la  quota
spettante a ciascun beneficiario sia superiore a £ 350.000.000. 
    Il dato testuale della disposizione normativa oggetto di sospetta
illegittimita' costituzionale (art.  13,  comma  2,  della  legge  n.
383/2001) e' il seguente: «i trasferimenti  di  beni  e  diritti  per
donazione o altra liberalita' tra vivi, compresa la rinuncia  pura  e
semplice agli stessi, fatti a favore di soggetti diversi dal coniuge,
dai parenti in linea retta e  dagli  altri  parenti  fino  al  quarto
grado, sono soggetti alle imposte  sui  trasferimenti  ordinariamente
applicabili per le operazioni a titolo oneroso, se  il  valore  della
quota spettante a ciascun beneficiario e'  superiore  all'importo  di
350 milioni di lire. In questa ipotesi si applicano, sulla  parte  di
valore della quota che supera l'importo di 350 milioni  di  lire,  le
aliquote previste per  il  corrispondente  atto  di  trasferimento  a
titolo oneroso». 
    La richiamata disposizione e'  stata,  successivamente,  abrogata
dall'art. 2, comma 52, del decreto-legge n. 262 del 3  ottobre  2006,
convertito con modifiche nella legge n. 286 del 24 novembre 2006. 
    Tuttavia il comma 53  dell'appena  richiamato  art.  2  prescrive
espressamente che «le disposizioni di cui ai commi da 47 a  52  hanno
effetto per gli atti pubblici formati, per gli atti a titolo gratuito
fatti, per le  scritture  private  autenticate  e  per  le  scritture
private non autenticate presentate per la registrazione dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione  del  presente  decreto,
nonche' per le successioni apertesi dal 3  ottobre  2006.  Le  stesse
decorrenze valgono per le imposte ipotecaria e catastale  concernenti
gli atti e le dichiarazioni  relativi  alle  successioni  di  cui  al
periodo precedente». 
    Il che sembra indurre a ritenere che,  benche'  abrogato,  l'art.
13, comma 2, della legge n. 383/2001 sia ancora idoneo a regolare  le
fattispecie  verificatesi  nel  periodo  temporale   nel   quale   la
disposizione normativa era ancora vigente, posto che -  per  espressa
previsione  del  comma  53,   dell'art.   2   appena   richiamato   -
l'abrogazione dell'art. 13, comma 2, disposta dal comma 52, dell'art.
2 del decreto-legge n. 262/2006 ha effetto a far data dal  3  ottobre
2006. 
    La presente fattispecie, viceversa, riguarda un  atto  rogato  in
epoca precedente, e cioe' in data 22 giugno 2006, e registrato il  28
giugno 2006. 
    Tanto  viene  specificato  al  fine  di   evidenziare   come   la
disposizione   normativa,   qui    sospettata    di    illegittimita'
costituzionale, sia ancora idonea a regolare la fattispecie  concreta
sottoposta all'attenzione di questo giudice, in  quanto  trattasi  di
disposizione normativa vigente al momento in cui l'atto di  donazione
e' stato formato, rogato e registrato. 
    Il che comporta, a giudizio di questo  Collegio,  la  persistenza
del presupposto della rilevanza  della  questione  di  illegittimita'
costituzionale della disposizione normativa indicata e che  viene  in
questa sede sollevata poiche', per quanto innanzi specificato, l'art.
13, comma 2, della legge n. 383/2001 e' disposizione normativa ancora
idonea a regolare la fattispecie sottoposta all'attenzione di  questo
Collegio giudicante posto che  la  stessa,  se  applicata  nella  sua
portata  letterale,  cosi'  come  propugnato  dall'Ufficio  nell'atto
impugnato in primo grado, e' tale  da  escludere  dal  beneficio  ivi
previsto  tutta  la  categoria  degli  affini;  ed  il  rapporto  tra
l'appellante, donatario, e  la  sig.ra  Verrone  Elena,  donante,  e'
appunto proprio di affinita' e non gia' di parentela. 
    Sicche', l'applicazione letterale di quella disposizione comporta
l'esclusione  dell'appellante  dal  beneficio  e  la  necessita'   di
regolare la fattispecie secondo il dato testuale  della  disposizione
richiamata. 
    Il   che   rende   rilevante   la   questione   di   legittimita'
costituzionale della disposizione normativa di cui all'art. 13, comma
2, della legge n. 383/2001. 
    Ne' puo' ritenersi la questione inammissibile  per  l'intervenuta
abrogazione della disposizione normativa sospettata di illegittimita'
costituzionale,  posto   che,   come   insegna   la   giurisprudenza,
«l'abrogazione di  una  norma  anteriormente  alla  rimessione  della
questione  di  costituzionalita'   non   determina,   di   per   se',
l'inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza (art. 136
della Costituzione; art. 30, comma 3, legge 11 marzo  1953,  n.  87)»
(Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza, 3 ottobre 2014, n. 4946). 
    Quanto al presupposto  della  non  manifesta  infondatezza  della
questione  di  legittimita'  costituzionale,  giova  ribadire  quanto
sinteticamente esposto innanzi: la disposizione normativa  sospettata
di  illegittimita'  costituzionale  impedisce  alla  categoria  degli
affini di godere dei benefici ivi statuiti, determinando in tal  modo
una illogica discriminazione che non trova alcuna giustificazione  se
riguardata  alla  luce  di  alcuni  elementi   ordinamentali,   tutti
rappresentati  dalla  difesa  dell'appellante,  e  che  depongono   -
viceversa - per una necessaria parificazione delle due  categorie  di
soggetti, i parenti e gli affini. 
    Sotto tale profilo viene in rilievo, innanzitutto, la  violazione
dell'art.  3  della  Costituzione  ed  il  principio  di  uguaglianza
sostanziale, oltre - poi - alla violazione degli articoli  29  e  31,
posti in relazione all'art. 2, della Costituzione  in  considerazione
del favore espresso dalla Carta costituzionale  nei  confronti  della
famiglia e dei rapporti che ivi si esplicano. 
    In questo ambito, non e' dato ravvisare la ragione per la quale -
nella subietta materia - possa ipotizzarsi un diverso trattamento tra
il  vincolo  di  parentela  e  quello  di  affinita',  allorquando  -
viceversa - l'ordinamento esprime in diversi  ambito  ed  in  diverse
normative il favore per un trattamento omogeneo delle  due  categorie
di soggetti, i parenti e gli affini. 
    Appare utile richiamare, innanzitutto il previgente  testo  unico
delle  successioni  di  cui  al  decreto  legislativo  n.   346/1990,
integrato dalla legge n. 342/2000, nel  quale,  all'art.  69,  veniva
statuito che l'imposta in materia di donazioni venisse determinata in
misura pari al  6%  del  valore  del  bene  nell'ipotesi  in  cui  le
liberalita' riguardassero sia i parenti (fino al quarto grado) e  sia
gli affini (in linea  retta  e  collaterale  fino  al  terzo  grado).
Pertanto il legislatore negli anni 90  accomunava  i  parenti  e  gli
affini prevedendo per tutti un unico sistema  proprio  in  virtu'  di
quel principio di uguaglianza sostanziale. 
    La difesa del contribuente enumera diverse ipotesi  nelle  quali,
nell'ambito dell'ordinamento italiano, la  figura  dell'affine  viene
trattata in maniera identica a quella del parente. 
    Condividendone  la  prospettazione,  appare  utile  il   richiamo
all'art. 87, comma 4, del  codice  civile,  che  include  gli  affini
nell'ambito delle categorie di soggetti ai quali  e'  vietato  unirsi
reciprocamente in matrimonio. 
    Nell'ambito degli obblighi di assistenza familiare,  l'art.  433,
comma 5,  del  codice  civile  include  gli  affini  tra  i  soggetti
obbligati a prestare gli alimenti. 
    Ancora, l'art. 230-bis, comma 3, del codice  civile  include  gli
affini tra i soggetti che devono essere considerati come «familiari». 
    E cosi',  nell'ambito  degli  istituti  di  tutela  dei  soggetti
deboli, il codice civile individua anche gli affini  tra  coloro  che
possono essere scelti per rivestire la figura di tutore  (art.  348),
ovvero tra coloro i quali possono proporre istanza di interdizione  o
di inabilitazione (art. 417). 
    Segno che l'affine ha una propria posizione specifica nell'ambito
dell'istituzione e dell'organizzazione familiare. 
    Ma discorsi non  diversi  possono  farsi  in  ambito  societario,
laddove l'art. 2399 del codice civile  individua  gli  affini  tra  i
soggetti ai quali e' preclusa la possibilita' di rivestire la  carica
di sindaco, se quei soggetti  sono  affini  di  amministratori  della
societa', o di societa' controllate, di quelle che controllano  e  di
quelle sottoposte a controllo. 
    Ed ancora, anche la sussistenza del vincolo di affinita' comporta
obblighi di astensione ex art. 51  del  codice  di  procedura  civile
nello svolgimento della funzione giudicante. 
    Infine,  giova  ricordare  alcune  disposizioni   relative   agli
istituti esistenti in ambito di rapporto di lavoro nei  quali  vi  e'
stata l'inclusione degli affini tra i soggetti che possono fruire dei
permessi  ex  lege  n.  104/1992   (legge   n.   183/2010),   nonche'
l'esclusione dal novero dei rapporti di lavoro autonomo o subordinato
delle prestazioni rese in  maniera  occasionale  anche  dagli  affini
nelle  attivita'  agricole  (art.  74  del  decreto  legislativo   n.
276/2003). 
    Considerando, dunque, gli elementi normativi innanzi esposti, non
puo' che ritenersi  del  tutto  illogica  l'esclusione  degli  affini
dall'ambito dei soggetti che possono essere destinatari del beneficio
previsto dal comma 2, dell'art.  13,  della  legge  n.  383/2001,  in
quanto appare ingiusta la  discriminazione  di  tale  categoria  che,
pure, ad altri fini e' considerata come  categoria  di  soggetti  che
sono astretti da vincoli peculiari e specifici all'ambito familiare. 
    Appare  evidente  al  Collegio  che  la  disposizione   normativa
richiamata  collida  con  il  principio  di  uguaglianza  sostanziale
previsto dall'art. 3  della  Costituzione,  nonche'  con  i  principi
sanciti dagli articoli 29 e 31 della stessa Costituzione, laddove gli
stessi apprestano alla famiglia una particolare e specifica tutela di
rango costituzionale, nell'ambito della  quale  sono  riconosciuti  e
tutelati i diritti propri della collettivita' familiare che non e', e
non puo' essere considerata, come ristretta ai soli parenti,  laddove
invece in altri settori ordinamentali il concetto di  famiglia  viene
esteso anche agli affini. 
    A corroborare il convincimento del  Collegio  nel  senso  innanzi
indicato vi sono anche  i  principi  che  sembrano  ritraibili  dalla
stessa giurisprudenza della Corte costituzionale che, con la sentenza
n.  203/2013,  ha  dichiarato  la  illegittimita'  costituzionale  di
disposizioni normative che non includevano -  tra  gli  altri  -  gli
affini nel novero dei  soggetti  destinatari  della  possibilita'  di
fruire di congedi parentali per l'assistenza ai disabili e quindi  la
possibilita' di chiedere ed ottenere congedi retribuiti, fino  a  due
anni,  per  i  lavoratori  che  assistono  un  familiare  con   grave
disabilita' (in possesso di verbale di  handicap  grave  ex  art.  3,
comma 3, della legge n. 104/1992). 
    Ivi i parametri costituzionali  individuati  come  violati  erano
proprio quelli stabiliti dagli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione. 
    In forza di quanto fin qui esposto, il Collegio ritiene che debba
essere   sollevata   in   via   incidentale   innanzi   alla    Corte
costituzionale, siccome rilevante e non manifestamente infondata,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 2, della
legge n. 383 del 18 ottobre 2001, per contrasto con gli  articoli  2,
3, 29 e 31 della Costituzione nella parte in cui  non  include  anche
gli affini tra i soggetti per i quali e' escluso il  pagamento  delle
imposte  sui  trasferimenti   ordinariamente   applicabili   per   le
operazioni a titolo oneroso nei  casi  di  trasferimenti  di  beni  e
diritti per donazione o  altre  liberalita'  tra  vivi,  compresa  la
rinuncia pura e semplice agli stessi,  allorquando  il  valore  della
quota spettante a  ciascun  beneficiario  non  sia  superiore  a  350
milioni di lire. 
    La rimessione degli atti alla Corte  costituzionale  comporta  la
necessaria sospensione del presente giudizio,  ai  sensi  e  per  gli
effetti dell'art. 23, comma 2, della legge n. 87 dell'11 marzo 1953.